La rabbia e l’orgoglio del lavoratore pubblico

Con la Legge n. 133 del 6/8/2008, si è data ai lavoratori pubblici la “patente” di “fannulloni”.

Il lavoro pubblico è una funzione di elevato spessore e qualità morali, sancito nella Costituzione del 1948. Tuttavia, da anni si addita il lavoro pubblico come un costo e non già come una risorsa utile ai cittadini, che fornisce a tutti concrete risposte e servizi a primari bisogni, come istruzione, salute, sicurezza, previdenza e assistenza, indipendentemente dalle capacità economiche e dallo status sociale.

Il costo è dato in massima parte da chi lavora nella Pubblica Amministrazione: troppi, poco produttivi, un freno per lo sviluppo delle imprese.
Allora si incomincia con il taglio delle retribuzioni. Il salario accessorio è tagliato del 20% rispetto a quello fermo dal 2004. Eppure le retribuzioni dei lavoratori dipendenti (in generale, di quelli pubblici in particolare), sono tra le più basse d’Europa.

I rinnovi dei contratti (già scaduti, tra l’altro, al 31/12/2007) dovranno essere “negoziati” sulla base di un tasso d’inflazione programmato dell’1,7% (alquanto favolistico) e non su quello più vicino al reale del 4,3%, con il mancato recupero di quanto già perso con i contratti precedenti, che non hanno tenuto conto dell’inflazione reale né del fiscal-drag, considerato anche che negli ultimi anni la pressione fiscale è aumentata.

Nel tempo si è anche andato affermando nel Pubblico Impiego il principio della contrattazione di tipo privato. Invece, oggi, si vanno a modificare unilateralmente, con atto legislativo, anche d’urgenza (il DL 112/08), norme contrattuali che pongono una seria disparità tra i lavoratori pubblici e quelli privati: taglio delle retribuzioni accessorie per i primi 10 giorni di malattia, prolungamento a 11 ore giornaliere, sette giorni su sette, delle fasce di reperibilità al controllo fiscale.

Si è dato corso, poi, ad una campagna mediatica denigratoria nei confronti dei lavoratori pubblici.
Ma, lo abbiamo capito tutti, la campagna ha un unico fine: la riduzione dello Stato sociale.

Con il federalismo fiscale si potranno, ad esempio, privatizzare, in tutto o in parte, gli ospedali e siccome in economia privatizzare è sinonimo di profitto, chi avrà buona disponibilità economica o avrà stipulato una polizza sanitaria privata, avrà accesso a tutte le cure. Gli immobili ex ospedali saranno offerti a banche ed assicurazioni.

Si potranno anche trasformare le Università in fondazioni di diritto privato (art. 16 Legge 133), che costeranno agli studenti, molto più che quelle statali, con la conseguenza che potrà accedervi soltanto chi avrà buone disponibilità economiche (ferme restando le borse di studio per merito, ma quante?).

Attraverso la riforma del calcolo retributivo (media delle retribuzioni degli ultimi 5 o 10 anni), retributivo/contributivo, soltanto contributivo, la pensione pubblica tende negli anni a ridursi e, quindi, per mantenere un adeguato tenore di vita, si dovranno stipulare onerose polizze pensionistiche private o pensioni integrative o complementari.

Dimenticando che quotidianamente negli ospedali si salvano decine di vite umane.

Dimenticando che quotidianamente c’è chi rischia la vita per la sicurezza di noi tutti.

Dimenticando che quotidianamente c’è chi cerca di trasmettere non solo il “sapere”, ma anche di “formare” i futuri cittadini.

Dimenticando che quotidianamente c’è chi opera affinché, alla fine di una vita di lavoro, si possa ottenere una pensione adeguata alla propria esistenza.

Dimenticando che quotidianamente c’è chi opera per fare in modo che, se colpiti da un infortunio sul lavoro o da una malattia professionale, si abbia un’adeguata prestazione sanitaria ed economica.

Questo è il Lavoro Pubblico: una funzione sociale e morale.

Nei lavoratori pubblici è vivo un sentimento di profonda rabbia per essere denigrati senza possibilità di ascolto o di difesa.

Più ancora è forte l’orgoglio di chi, giorno per giorno, assolve nel più completo anonimato, ma con grande senso di responsabilità, il proprio compito per il soddisfacimento di servizi ai cittadini.