150° ANNIVERSARIO DELL’UNITA’ D’ITALIA

Il 17 marzo 2011 ricorre il 150 °anniversario dell’unità d’Italia in un clima di estrema conflittualità politica che sicuramente non è di buon auspicio per quella serenità nazionale necessaria per queste grandi occasioni. Ciò avviene a distanza di 50 anni dal centenario, festeggiato con l’ampia partecipazione ed approvazione di tutti i partiti e del Governo presieduto da Amintore Fanfani.
Non vogliamo certamente soffermarci sulle polemiche che hanno preceduto questo evento, ma fornire un contributo di idee e riflessioni sull’avvenimento che ci vede coinvolti quale forza sindacale e sociale di questo paese. Il primo parlamento italiano, insediatosi il 18 febbraio1861, proclama alla data del 17 marzo dello stesso anno primo re del regno Vittorio Emanuele II di Savoia. Le varie tappe che l’Italia ha percorso in questo secolo e mezzo fino a raggiungere l’assetto definitivo nell’attuale configurazione territoriale ed istituzionale, sono parte integrante del nostro corredo e della nostra formazione culturale. Indubbiamente sono noti a tutti le gesta di coloro che anche col sacrificio della propria vita hanno contribuito a creare le basi affinché questo sogno si avverasse. Il risorgimento italiano, in cui spiccano personaggi quali Giuseppe Garibaldi con il suo esercito di volontari e Giuseppe Mazzini con la sua Giovane Italia, è stato l’artefice principale che ha avviato il processo di unificazione della penisola senza misconoscere, almeno nella sua prima fase, la partecipazione attiva della Casa Savoia che è stato un punto di riferimento importante dell’intero movimento insurrezionale con le guerre di indipendenza, combattute per sottrarre al dominio austriaco le regioni settentrionali.
Comunque, fin dalle sue origini il regno sabaudo non seppe superare quelle notevoli differenziazioni delle condizioni di vita delle popolazioni dei vari territori che esistevano prima della sua costituzione, e ciò perché non tenne conto di queste esigenze mantenendo lo stesso modello piemontese che accentrava tutti i suoi poteri legislativi ed esecutivi e rifiutando le istanze di coloro che appunto, per superare questa anomalia, sostenevano la creazione di uno Stato di tipo confederale o federale.
Tale situazione determinò, quindi, una frattura insanabile tra nord e sud dell’Italia, per cui nacque la questione meridionale che ai giorni nostri è ancora irrisolta.
Problema questo che suscitò la rivolta delle popolazioni di quei luoghi nei confronti del nuovo regime che, sostituitosi a quello borbonico, non assicurò le loro aspettative di far parte integrante di una nazione unitaria con gli stessi diritti e privilegi. Anzi, dopo l’avvenuta annessione esse subirono in maniera più gravosa sanzioni quali la coscrizione obbligatoria e una maggiore tassazione che alimentarono i fenomeni di emigrazione verso il nord e l’estero e del brigantaggio di bande bene organizzate, coperte dall’omertà e complicità della povera gente. A ciò aggiungasi il permanere di una società semifeudale e retriva, contraria a qualsiasi innovazione che potesse avviare un processo di modernizzazione ed uno sviluppo di attività industriale.
Questo nostro commento, però, non vuole essere l’esegesi dell’avvenimento che stiamo trattando e che sarà ampiamente commemorato dagli organi istituzionali del paese, limitandoci soltanto ad alcune considerazioni di carattere generale di stretta pertinenza con le nostre finalità associative e mettendo in luce la storia del nostro movimento sindacale in questo secolo e mezzo che ha visto i nostri lavoratori lottare per ottenere le libertà e i diritti che una società civile e democratica deve assicurare.
Soltanto agli albori del 1870, per effetto dell’incremento industriale in Italia, assistiamo alla nascita di organizzazioni che per la loro struttura si avvicinano ai Sindacati di oggi, affermandosi poi agli inizi del 1900 su due distinti versanti politici, uno nell’area socialista e l’altro in quella cattolica.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, dopo il loro scioglimento da parte del fascismo per sostituirli con le corporazioni, i Sindacati rinascono fondendosi in un’unica Confederazione Generale del Lavoro, con diverse correnti politiche corrispondenti ai maggiori partiti di quel momento. Tale unitarietà, però, fu di breve durata, in quanto le contrastanti opinioni, su come affrontare alcune emergenze e sistemi di tutela di quell’epoca, provocarono al suo interno una scissione, dando vita a tre confederazioni: la CGIL nell’area comunista e socialista, la CISL in quella democristiana, la UIL in quella socialdemocratica e repubblicana. Ad esse si aggiunsero la nostra CISAL, nata il 27 ottobre 1957 mediante la fusione di Sindacati Autonomi sorti in alcuni settori del pubblico impiego alla fine della guerra, che pur rispettando le scelte ideologiche nel campo politico dei propri aderenti sostenne nel suo statuto costitutivo l’assoluta indipendenza dai partiti, ed altre organizzazioni, tra cui la CISNAL, oggi UGL, di estrazione di destra.
In seguito sono apparse nel panorama sindacale aggregazioni di lavoratori, fuorusciti in gran parte dalla CGIL, che insoddisfatti dei risultati ottenuti nelle contrattazioni dai loro rappresentanti hanno formato gli attuali sindacati di base.
Affermiamo, comunque, in merito a questo problema, la necessità dell’autonomia dai partiti, perché la loro ingerenza in questo campo causa quasi sempre uno scambio dei ruoli che molte volte comporta nella attività di tutela della classe lavoratrice dei compromessi che si ispirano ad interessi diversi che, come si è verificato in questi ultimi tempi, hanno reso non unitario il fronte sindacale.
Altro aspetto di questa questione è quello relativo alla completa attuazione dell’art.39 della costituzione italiana che sancisce al primo comma il principio di libertà sindacale, in quanto si è ancora in attesa dei provvedimenti legislativi a sostegno delle enunciazioni dei commi successivi per l’acquisizione della personalità giuridica delle organizzazioni sindacali, necessaria per convalidare il loro potere rappresentativo e stabilire senza equivoci i termini esatti della loro figura istituzionale oggi spesso contraddetta da erronee interpretazioni in sede legale.
Dopo questo breve preambolo, ritornando sull’argomento prefissoci all’inizio, cioè la celebrazione del 17 marzo, concludiamo che essa deve prescindere da qualsiasi polemica, in modo di trovarci tutti concordi nel sostenere le sorti della nostra Italia che ha percorso un cammino così travagliato e che, grazie all’apporto e al sacrificio dei suoi martiri, ha conquistato quei valori e quei riconoscimenti che ci rendono ancora orgogliosi.