Con il sostegno del Comune di Osimo e della Regione Marche si è svolta, dal 21 luglio al 21 settembre, l’edizione 2020 di PopUp Festival, che porta l’arte nello spazio urbano, creando un dialogo rigenerativo con le comunità, quanto mai necessario in questo critico momento di pandemia.
L’Arte può diventare un atto di recupero e rinascita, soprattutto quando siamo tutti chiamati a rimodellare e reinventare le nostre abitudini. Ad organizzare l’evento è stata l’impresa creativa PopUp Studio, che dal 2008 con questi festival ha realizzato oltre cinquanta interventi di arte urbana nelle Marche e ha riscattato a nuova vita culturale alcuni luoghi, quali il porto di Ancona o stazioni semiabbandonate della provincia marchigiana.
La prima sfida che il Festival ha dovuto affrontare è stata certamente riadattare la formula stessa dell’evento, di per sé momento di aggregazione. Pur rispettando le misure di sicurezza, anche quest’anno il pubblico ha avuto l’opportunità di osservare gli artisti al lavoro e le loro performance sono state un’occasione di scoperta e di incontro collettivo.
Tanti gli artisti di richiamo internazionale, invitati a realizzare monumentali opere d’arte in spazi e su architetture non convenzionali. Si va dalla facciata di un capannone industriale agli interni di una casa di riposo, dal Mercato Pubblico alla hall dell’impianto di risalita Tiramisù, che collega il centro storico di Osimo, dal cantiere dell’ex Cinema Concerto agli spazi di affissione della città.
Tra i protagonisti che si sono messi all’opera vi sono Agostino Iacurci, il collettivo israeliano Broken Fingaz, Giorgio Bartocci e Allegra Corbo. Osimo si è prestata ad essere laboratorio di Street Art, gigantografie, con l’intento, come ha detto l’assessore alla Cultura Mauro Pellegrini, di ricreare una città sperimentatrice, che investendo nella contemporaneità, possa lasciare un segno anche nel futuro, così come hanno fatto in passato gli artisti e gli architetti che nei secoli l’hanno disegnata.
Collegata al PopUp Festival, fino al 10 gennaio 2021, è visitabile la mostra dedicata ad una leggenda dell’arte contemporanea, l’artista statunitense Keith Haring, del quale ricorrono i trent’anni dalla scomparsa. La mostra, dal titolo “Made in New York”, è stata curata da Gianluca Marziani e si tiene presso Palazzo Campana. L’intento è non solo analizzare le origini di un movimento spontaneo, la Street Art, che da oltre quarant’anni anima pareti, strade, edifici, ma anche evidenziare la distanza dalla cultura del Graffitismo.
Haring è stato un artista dalla natura ardente, inquieto nel suo ricercare una propria voce, che non trovò in studi accademici ma nell’ispirazione che gli offrivano tanto i personaggi dei fumetti quanto artisti come Pollock, Paul Klee, Stuart Davis, Jean Dubuffet. Suscitò in lui la spinta e la consapevolezza necessaria per assecondare la sua vocazione, Pierre Alechinsky. Così alla fine degli anni ’70 con le sue personali, nell’ambiente aperto della Grande Mela, iniziò a riscuotere consensi e successo. Influenzato dal mondo artistico underground, dal graffitismo, trovò, negli spazi pubblicitari vuoti della metropolitana di New York, il suo laboratorio pubblico dove sperimentare il suo estro. Su di una facciata del convento di Sant’Antonio a Pisa nel 1989 realizzò la sua ultima opera Tuttomondo, un grande murale, che ritrae 30 figure dinamiche e di grande vitalità, concatenate ed incastrate tra loro, a simboleggiare la pace e l’armonia nel mondo. Oltre alla fondazione, che porta il suo nome, a sostegno dei bambini e della lotta all’AIDS, malattia che lo condusse alla morte nel 1990, Keith Haring ha voluto anche che fosse a disposizione di tutti la sua arte, creando il Pop Shop di Soho, dove gadget e magliette ritraggono le sue opere. Un mondo caldo e colorato quello di Haring, che vale la pena di incontrare.
di Eleonora Marino