Durante questo periodo di quarantena legato all’emergenza coronavirus, alcuni settori di prima necessità si sono dovuti adattare per continuare le proprie attività, tra cui il comparto scuola che ha portato avanti le lezioni e la didattica prevista grazie all’aiuto della tecnologia.
Abbiamo intervistato Matteo Maturani, prof. di Italiano e Storia presso l’Istituto Tecnico IIS “Leonardo Da Vinci” di Roma, che ha raccontato nel corso della nostra intervista, come la scuola si sia attivata per far fronte all’emergenza Covid-19, e ha evidenziato quali siano state le reazioni di studenti e docenti a queste modalità di insegnamento, illustrando inoltre, quali sono stati gli strumenti tecnologici usati nella didattica, per poi concludere il tutto con un piccolo sguardo rivolto agli esami di maturità.
- Quali strumenti sono stati adottati dalla scuola in cui insegna per permettere agli studenti di seguire le lezioni e portare avanti il programma didattico? Come si è trovato a dover lavorare con la tecnologia, con l’ulteriore aggravio dato dalla distanza?
“L’istituto scolastico ha concesso piena libertà agli insegnanti di scegliere le piattaforme da utilizzare per le lezioni. Sono state attivate classi virtuali con l’uso di piattaforme online come WeSchool o Google Classroom, che permettono ai ragazzi di seguire le lezioni online attraverso delle videoconferenze, così anche da mantenere il rapporto umano.
Per quanto mi riguarda, posso dire di essermi trovato bene e di non aver riscontrato problematiche con l’uso delle piattaforme. È chiaro, la cosa è soggettiva a seconda del docente che deve essere smart ed aggiornarsi anche da un punto di vista tecnologico. C’è stata molta disponibilità da parte dei ragazzi stessi di mettersi in gioco e la massima apertura a svolgere le lezioni online.”
- Come è stato coordinato il cambiamento dovuto al Coronavirus da un punto di vista di organizzazione e gestione della didattica? Cosa ha comportato?
“La dirigenza scolastica ha risposto prontamente alla situazione di emergenza per cercare di non fermare il tutto e portare avanti la didattica in maniera spedita come a voler dimostrare che la scuola non si sarebbe fermata davanti a questa situazione particolare. Per questo motivo sono stati messi a disposizione tablet per permettere ai ragazzi di collegarsi alle aule virtuali, sono state attivate delle borse di studio per fornire gli strumenti necessari a quei ragazzi che ne risultavano sprovvisti.
Bisogna sottolineare, però, che in generale ed in particolare in situazioni di emergenza come quella che stiamo vivendo, è fondamentale la comunicazione tra dirigenza e docenti, e tra docenti e alunni, anche perché il carico di lavoro in questi giorni è aumentato, perché non avere più il contatto diretto con i propri colleghi e con gli studenti implica un maggior lavoro.”
- Come hanno reagito i suoi studenti a questo cambiamento, alla didattica a distanza e alle restrizioni necessarie per evitare la diffusione della pandemia del Coronavirus? E invece quali sono state le reazioni dei suoi colleghi?
“Le reazioni sono state le più disparate, diverse a seconda della persona e delle situazioni familiari e personali. Posso dire che, in generale, i miei colleghi si sono messi tutti in gioco, chi più e chi meno, per non rimanere indietro e continuare ad offrire il servizio didattico scolastico per amore dei ragazzi.
Inoltre, c’è stato un forte spirito di collaborazione non solo tra i colleghi per aiutare chi avesse delle difficoltà con l’uso delle piattaforme e dei mezzi digitali, ma anche tra i docenti e gli studenti, che si sono mostrati davvero comprensivi in alcune situazioni. Addirittura, ci sono stati degli insegnanti, che si sono trovati meglio con la didattica digitale rispetto a quella tradizionale, e viceversa.”
- Guardando il binomio didattica – tecnologia in un’ottica di medio – lungo periodo, secondo lei la scuola italiana è pronta per integrare sempre di più l’uso della tecnologia?
“La scuola italiana non si era mai trovata nella situazione di mettere in atto e di usare gli strumenti “moderni” durante le proprie attività, in quanto per molto tempo l’aggiornamento tecnologico era sembrato per molti docenti un aspetto prettamente teorico e poco applicabile alla didattica. Sicuramente dobbiamo metterci in testa che il digitale e la modernità ci devono essere nelle scuole, ma il contatto “vis a vis” rimane il primo mezzo. I rapporti umani non possono, e non devono, essere cambiati o alterati dall’uso delle apparecchiature tecnologiche, perché sono il valore aggiunto del nostro lavoro. La scuola è fatta dal contatto umano, perciò il digitale solo non è esaustivo per una formazione completa dell’alunno. L’insegnante non è solo un semplice trasmettitore di informazioni, ma un vero e proprio punto di riferimento della crescita dell’alunno.”
- Cerchiamo di fare chiarezza sulle modalità degli esami di maturità che si svolgeranno a giugno. Secondo le ultime notizie date dal Ministero dell’Istruzione, sembra ormai ufficiale la data degli esami, stabilita per il 17 giugno. Quale sarà la forma prevista per l’esame orale, quanto conterà sul voto finale? Come sta preparando i ragazzi del quinto anno, nonostante l’assenza dalle aule?
“Stiamo aspettando l’ufficialità definitiva dal ministero, ma soprattutto le direttive che noi docenti dovremo seguire per lo svolgimento degli esami di maturità. Noi docenti siamo fortemente convinti, che l’interesse seguito dalle istituzioni è quello di mantenere la serietà e la correttezza dell’esame di maturità.
Da un punto di vista di preparazione dei ragazzi, è compito dell’insegnante accertarsi che i ragazzi arrivino ben preparati all’esame, anche in questo periodo, perciò sta tutto a come viene impostata la didattica digitale.
Io, per esempio, ho una quinta e stiamo proseguendo in maniera lineare con il programma. Nonostante la distanza, ho interrogato i miei ragazzi come se fossimo a scuola tramite videoconferenze. “
- Per quanto riguarda, invece, gli esami di riparazione per gli studenti che, a fine anno scolastico, hanno delle materie da recuperare?
“Prima di tutto bisogna capire che non si darà la promozione sulla fiducia e, quindi, non ci saranno “6 politici” a tutti. In un momento e in una situazione del genere cade la valutazione, a cui siamo abituati con i classici voti numerici. È chiaro che ci saranno dei voti, ma verrà effettuata una valutazione più complessiva e generale dell’andamento scolastico dello studente.
Chi ha delle carenze di apprendimento a fine anno, non verrà lasciato indietro, e ovviamente ci saranno delle modalità con le quali gli alunni potranno recuperare le loro mancanze non nell’ottica del mero debito scolastico, ma in vista della preparazione e dello sviluppo di quelle competenze fondamentali per la continuazione del percorso didattico negli anni a venire.”
- Secondo lei cosa succederà a settembre? I nostri ragazzi potranno tornare nelle proprie aule? Oppure pensa che le lezioni continueranno nelle aule virtuali fino a quando non ci sarà un vaccino contro il coronavirus?
“Sinceramente è difficile rispondere al momento attuale. Molte cose sono state dette, tuttavia non sono state prese delle decisioni che si dirigono verso una via o l’altra, e di ufficiale non c’è nulla. La cosa a cui stiamo pensando ora è portare avanti l’anno scolastico in corso e di concluderlo nel migliore dei modi, poi penseremo a quello successivo. Sicuramente la scuola si farà trovare pronta, come ha fatto nel corso di questa emergenza.
C’è da dire che non è facile prendere delle decisioni in questo momento ed è difficile mettersi nei panni del Ministro Azzolina, poiché qualsiasi scelta venga presa c’è sempre il rischio che qualcuno rimanga insoddisfatto.”
- Probabilmente lei è uno dei professori più giovani d’Italia. Com’è stato all’inizio affrontare un mondo lavorativo in cui, è noto, l’età anagrafica media è elevata. Come valuta il sistema scolastico italiano? Quali cambiamenti pensa siano necessari per migliorarlo?
“Le svelo un segreto: ci sono dei professori anche più giovani di me!
Quando sono diventato insegnante la scuola era cambiata molto rispetto a quando ero uno studente. Ma, in particolare, mi stavo semplicemente posizionando dall’altra parte, dietro la cattedra, con tutti i lati positivi e negativi del caso. Ho iniziato così a “sporcarmi le mani” e a scoprire le difficoltà relative a questo mestiere. Chiaramente è stata una sfida, che ho accolto con grande piacere.
Il lavoro dell’insegnante è cambiato molto, è sempre più importante, anzi direi fondamentale aggiornarsi. Non si smette mai di imparare.
Io sono entrato di ruolo a 28 anni e mi sono confrontato con colleghi sempre più anziani di me. Bisogna porsi in maniera diversa a seconda di con chi si parla: che siano colleghi o studenti. Ma è così nel lavoro, come nella vita. È importante la cooperazione, poiché la scuola è collegialità. Questo concetto alcune persone lo hanno afferrato e metabolizzato, altre invece un po’ meno.
Vuoi fare l’insegnante? Devi amare la tua professione, altrimenti è meglio non provarci proprio. La scuola non è fatta da quello che si legge nei giornali o semplicemente sui libri, ma dal rapporto che ogni insegnante ha con i propri allievi.”
- Facendo un confronto tra la sua generazione di quando andava al liceo con quella dei ragazzi di oggi, cosa trova di diverso? Cosa vede nei suoi ragazzi?
Io vedo dei ragazzi che hanno un forte bisogno di rapporti umani. Quei rapporti che nella società di oggi tendono sempre di più a diminuire.
Devo ammettere che mi sono trovato benissimo ad affrontare questo gap generazionale, anche perché se vogliamo, data l’età anagrafica, riesco a capire e ad immedesimarmi in quello che pensano i giovani di oggi. Devi sentirti vicino a loro. Più dai, più loro ricambieranno il tuo gesto, le tue attenzioni.
Dal mio punto di vista strettamente personale, essendo una persona molto empatica, ho trovato sempre una risposta positiva dai ragazzi, perché sentono l’impegno espresso nei loro confronti, percepiscono la passione che un insegnante mette nel proprio lavoro. Uno studente dà di più ed è incentivato se viene valorizzato in quello che fa.
Massimiliano Gonzi