Il Gruppo Bilderberg

Il Gruppo Bilderberg (detto anche conferenza o circolo o club) è il nome utilizzato per un incontro, che si svolge con cadenza annuale dal 1954, che vede la partecipazione di importanti esponenti del mondo politico, economico, finanziario e bancario dei cosiddetti paesi sviluppati. I partecipanti di regola sono circa un centinaio e si accede al luogo dell’incontro esclusivamente per invito. Il primo avvenne il 29 maggio 1954, presso l’hotel de Bilderberg, a Oosterbeek, vicino ad Arnhem, nei Paesi Bassi.

A tal proposito, nella opinione comune sarebbe stata la location del primo appuntamento a dare il nome al ristretto ed esclusivo consesso. In realtà, per il giornalista Daniel Estulin il nome deriverebbe dai trascorsi nazisti del principe d’Olanda (membro delle Reiter-SS), tra i promotori dell’iniziativa, precisamente dal suo ufficiale  tedesco di riferimento, Farben Bilder.

La famiglia reale olandese, dopo la guerra, avrebbe volutamente occultato quest’ombra nel passato del principe, facendone un membro del Royal Dutsch Shell, un reparto militare misto olandese e britannico. Incidentalmente ricordiamo che la famiglia reale dei Paesi Bassi è azionista della compagnia petrolifera Dutch Shell e i suoi membri (compresa la Regina) fanno parte del circolo. Tra gli altri promotori, troviamo il banchiere statunitense David Rockefeller e la famiglia Rotschild.

Il meeting,  a partire da quella data, si svolge ogni anno, in località sempre differenti, ufficialmente convocato per discutere di temi di interesse globale tanto politici quanto economici, oltre che  per favorire una maggiore cooperazione tra le due sponde dell’Atlantico su questioni di ordine militare e strategico. Tra i partecipanti alla prima conferenza ricordiamo oltre allo stesso promotore il principe dei Paesi Bassi Bernhard van Lippe-Biesterfeld (amico di un altro augusto consorte, il principe Filippo di Edimburgo, pure lui membro del circolo), il primo ministro belga Paul Van Zeeland e l’allora capo della Unilever, l’olandese Paul Rijkens. Pare che sia stato il principe d’Olanda ad invitare Walter Bedell Smith, capo della CIA.

Il marito della regina dei Paesi Bassi pare abbia dichiarato che disgrazie come la Grande depressione del 1929 (magari perfino la Seconda guerra mondiale) si sarebbero evitate se i leader più influenti avessero stabilito da prima un dialogo permanente: chissà se aveva ragione! Il principio ispiratore era organizzare una riunione a porte chiuse, che risultasse molto più efficace delle assisi ufficiali, in occasione delle quali quasi nessuno può dire veramente ciò che pensa. Fin dalla prima riunione, è consuetudine che vengano invitati due rappresentati per ciascuna nazione (salvo quelle più piccole), il numero dei delegati europei ed americani nel 1954 era di undici ciascuno (garantendo la rappresentanza delle diverse parti politiche nazionali).

Pare che il successo sortito dalla prima conferenza spinse tutti i partecipanti a decidere di riunirsi una volta all’anno, istituendo una commissione permanente incaricata di organizzare l’incontro (e decidere chi invitare); tale organismo si compone del presidente (sempre europeo) e di due segretari generali (uno americano e uno europeo), affiancata da un tesoriere. Ufficialmente non esiste lo status di membro del circolo, ma solo di componente di tali organismi. Il primo segretario fu il polacco Jozef Retinger. Nel tempo le conferenze annuali hanno visto la partecipazione di uomini di stato e di governo di primaria importanza, come di elementi di spicco dell’alta finanza internazionale.

Solo per citarne alcuni, oltre a quelli già nominati, Bill Clinton, Henry Kissinger, Tony Blair, Mario Monti, Romano Prodi, i Reali di Spagna ed Olanda, oltre che nomi magari meno conosciuti, ma importanti per i ruoli rivestiti (pensiamo ai vertici di istituzioni internazionali come FMI o Banca mondiale, i presidenti delle Commissioni UE, e tanti altri). Gli incontri hanno luogo sempre in hotel o resort di lusso, siti in località minori (per evitare troppo rumore), a rotazione in ciascuno dei paesi partecipanti. Gli invitati debbono presentarsi rigorosamente da soli (escluse mogli o fidanzate) e sono tenuti a non avere nessun contatto con la stampa. La location dell’incontro è ispezionata preliminarmente da cima a fondo, tutti gli altri ospiti allontanati e una severa indagine investe lo stesso personale di servizio: in caso di minimo sospetto i lavoratori vengono allontanati per tutta la durata della conferenza.

La struttura prescelta viene sorvegliata da forze dell’ordine e servizi di vigilanza privata, che non consentono ai “non eletti” di avvicinarsi. I nomi dei partecipanti sono resi noti dalla stampa, ma i lavori ed i resoconti degli incontri non sono resi pubblici, così come ai partecipanti è imposto l’obbligo di mantenere il riserbo e non farne menzione con nessuno, men che mai con i giornalisti. Per le riunioni si segue il cosiddetto regolamento della Chatam House, lo stesso adottato in occasione della conferenza di pace di Parigi del 1919, in base al quale a tutti i partecipanti è consentito di esprimersi liberamente, pure in contrasto con le istituzioni delle quali facciano parte, garantendo sempre l’anonimato degli oratori.

Secondo alcuni giuristi la partecipazione al circolo contrasterebbe, per i cittadini statunitensi, con il Logan Act che vieta a privati cittadini di interferire nelle relazioni tra gli USA e gli altri stati: ad ogni modo non si ha notizia dell’applicazione delle sanzioni previste! Come dicevamo, non esistono registrazioni o verbali ufficiali delle conferenze e la segretezza che circonda le riunioni è all’origine di molte teorie cospirazioniste, che vedono nel gruppo e negli organismo collaterali (Trilateral Comission e CFR) una sorta di cupola mondiale, perfino sovraordinata ai governi degli stati. La giustificazione offerta dal gruppo per tale segretezza è la volontà di garantire ai partecipanti assoluta libertà di espressione, evitando che le loro dichiarazioni possano essere fuorviate o strumentalizzate dai mezzi di informazione.  In effetti, il fatto che altri incontri istituzionali con partecipazioni altrettanto importanti (pensiamo al G7 o al forum di Davos) non siano circondate dallo stesso riserbo, al contrario esse si svolgono sotto gli occhi del mondo, può contribuire ad alimentare certe costruzioni.

Diceva un grande scrittore nostrano, Umberto Eco, che gli italiani (e non solo loro) sono vittime di una sorta di “teoria cospirativa della società che risiede nella convinzione che la spiegazione di un fenomeno sociale consista nella scoperta degli uomini o dei gruppi che sono interessati al verificarsi di tale fenomeno e che hanno progettato o congiurato per promuoverlo” spesso creando molta confusione e immaginando fili e collegamenti misteriosi in tanti eventi e fatti della storia, per quanto – sempre per restare a personaggi famosi del nostro paese – un politico di lungo corso (e cattolico devoto) come Giulio Andreotti amasse ripetere che a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.

L’ultimo incontro in ordine di tempo si è tenuto a Montreaux, in Svizzera, dal 29 maggio al 2 giugno 2019, con la partecipazione di 130 personalità in rappresentanza di 23 nazioni. Tra gli argomenti all’ordine del giorno cambiamenti climatici, Russia, Cina, brexit, spazio, futuro del capitalismo. Lo stesso sito web del gruppo parla di incontri tra esponenti della politica, dell’economia e del mondo accademico miranti a rinsaldare i legami tra Europa e America, favorendo un dialogo e un confronto su vari temi.

Nei primi incontri degli anni Cinquanta pare si parlasse di creare una comunità d’intenti tra europei e americani, per garantirsi il governo del mondo e respingere il pericolo (all’epoca molto sentito) della minaccia nucleare. Nel resoconto della seconda conferenza (1955) si parla di rimuovere malintesi o tensioni, per fronteggiare assieme i pericoli mondiali. Intervistato nel 2005 dalla BBC, il presidente del circolo (leggi commissione permanente) Etienne Davignon parlava di incontri periodici tra personaggi influenti che vogliono parlare liberamente tra loro, senza “critiche o pubblici dibattiti sulle loro idee”, negando in radice ogni velleità di influenza politica e asserendo che l’interferenza reciproca tra società e mondo degli affari sia semplicemente frutto di “buon senso” (e su questo sarebbe arduo dargli torto). Abbiamo più volte parlato di intese o accordi informali, ma verrebbe da chiedersi cosa accada se o qualora l’intesa non venga raggiunta.

Dopo tutto non dev’essere semplice, nonostante le indubbie capacità mediatrici dei partecipanti, mettere d’accordo gente abituata a decidere su questioni assai importanti senza, praticamente, doverne rendere conto a nessuno. Una risposta, tra le tante, può venire da un episodio che coinvolse l’allora primo ministro britannico Margaret Thatcher, secondo certe tesi (chiaramente non dimostrabili e da prendere con riserva) estromessa dalla carica per essersi opposta ai disegni del gruppo sull’integrazione europea.

Parlando dei meeting, David Rockefeller ebbe a dire che si trattava di occasioni nelle quali personaggi influenti nei vari campi (lui era indubbiamente tra questi) si vedevano per discutere, e magari individuare soluzioni, per i problemi più rilevanti del mondo contemporaneo. Aggiungiamo, che lo stesso Rockefeller disse che se lo avessero accusato di esercitare influenze per costruire una struttura politica ed economica più integrata a livello globale, lui stesso si sarebbe dichiarato colpevole.

Traendo alcune semplici conclusioni, frutto più che altro del famoso buon senso, dobbiamo partire da  una constatazione oltremodo ovvia. Per quanto informale, il gruppo riunisce gli uomini politici e della finanza più potenti del mondo: presidenti USA, capi di stato e di governo, ministri, banchieri, industriali, imprenditori. Sarebbe arduo negare l’influenza, sia pure in via di fatto e non certo ufficiale, che un simile consesso sia in grado di esercitare.

Tutto questo, ripetiamo, non è frutto di teorie oscure, ma semplicemente di quel “buon senso” cui faceva cenno lo stesso presidente del gruppo nell’intervista alla BBC. Il nostro compianto Giovanni Agnelli, anche lui invitato a diverse riunioni, pare dicesse che gli industriali potevano riuscire dove la politica aveva fallito: realizzare un’autentica integrazione europea. In altre parole intese e accordi informali – che possono investire linee politiche, scelte economiche, nomine di altissimo livello, solo per fare alcuni esempi – non hanno il crisma dell’ufficialità, ma certo hanno influenzato ed influenzano innegabilmente molte decisioni che vengono, per così dire, “ispirate” in tali consessi.

In questo senso, forse, sarebbe eccessivo parlare di un governo ombra mondiale, ma sarebbe arduo, per non dire fuori della realtà, negare la fortissima pressione che un simile gruppo è in grado di esercitare: anche questo, dopotutto, è semplice buon senso e realismo. Non che aiutino, per replicare ai cosiddetti cospirazionisti, dichiarazioni come quella di William Shannon (giornalista e diplomatico americano) che parlava di un circolo concentrato sul “controllo tecnologico e la scarsa sensibilizzazione della pubblica opinione.” Non ci attarderemo sui fatti, veri o presunti, circa i quali l’influenza del circolo sarebbe stata determinante. L’elenco sarebbe lungo e, a parte rischi di denunce, staremmo pur sempre trattando di fatti non dimostrabili: nomine presidenziali, scelta o revoca di capi di stato o di governo, linee di politica strategica ed economica. Chiunque potrebbe consultare su vari libri e siti web queste teorie e farsi una propria opinione, per noi però valgono solo quelle fondate sui fatti, per quanto riteniamo di avervi già offerto un nostro punto di vista. Parlando dell’atteggiamento della stampa, nulla è più significativo delle parole attribuite a Richard Salant, ex presidente di CBS news (uno dei più importanti network americani): “il nostro lavoro non consiste nel dare alla gente quello che vuole, ma nel decidere cosa deve volere.” Daniel Estulin, giornalista che si è dedicato ampiamente al Bilderberg, parla nel suo libro di “avvertimenti” ricevuti da presunti rappresentanti del gruppo. Il mistero che aleggia attorno al circolo ha ispirato anche romanzieri come Robert Ludlum o Gayle Lynds (pure l’italiano Vito Bruschini), che hanno basato le loro opere sulle poche informazioni disponibili. Un cenno, infine, a due organismi che abbiamo già menzionato.

A parte lo Steering Committee, una sorta di struttura organizzativa (rinnovata ogni 4 anni), ora parleremo brevemente della cosiddetta Trilateral Commission. Fondata nel 1973 per iniziativa di David Rockfeller, deve il suo nome al fatto di riunire (ed essere articolata) in tre grandi gruppi territoriali: America, Europa e Asia del pacifico. In pratica funge da organismo di coordinamento e contemperamento delle rispettive sfere di interesse, attraverso la partecipazione di rappresentati dei vari paesi. Ha un quartier generale a Washington, e due sedi a Parigi e Tokyo. Altro organismo collegato al Bilderberg, per quanto affondi le sue radici in strutture preesistenti, è il Council on Foreign Relations (CFR), che si proporrebbe l’obiettivo di creare una sorta di governo mondiale, basato su un sistema finanziario centralizzato. In ambedue i casi parliamo di strutture che hanno visto la partecipazione di esponenti politici ed economici di primaria importanza. Ci riferiamo a segretari di stato americani, banchieri centrali, finanzieri, con l’unica precisazione che una volta assunta una carica gli (ex) membri della Trilateral sono tenuti a rassegnare le dimissioni. Ovviamente ci sono stati diversi personaggi che hanno fatto parte di entrambi, resta solo da chiedersi se il fatto di aver raggiunto certi traguardi possa essere vista come una mera coincidenza.

Chiudiamo con la presentazione delle Trilateral fatta dal sito istituzionale: la Commissione Trilaterale è un’associazione privata, fondata nel 1973 da un gruppo di cittadini Nord Americani, Europei e Giapponesi con la finalità di offrire ai soci un forum permanente di dibattito per approfondire i grandi temi comuni alle tre aree interessate, diffondere l’abitudine a lavorare insieme per migliorarne la comprensione e fornire contributi intellettuali utili alla soluzione dei problemi affrontati. Per raggiungere questi obiettivi, la Commissione Trilaterale ha seguito fin dall’inizio tre principi di fondo: lavorare su un piano di parità, riconoscere l’importanza degli organismi multilaterali ed evitare azioni unilaterali.

di Paolo Arigotti