Il crollo dell’occupazione femminile a causa della pandemia

Se il periodo che va da luglio a novembre del 2020 sembrava far presagire un’inversione di tendenza circa l’andamento negativo del trend occupazionale, già a partire da fine anno – nonostante la reiterata proroga del blocco dei licenziamenti – i numeri tornano a crescere.

Il calo è uniforme e colpisce tutti i settori e le fasce di età, con la sola eccezione degli ultracinquantenni, ma balza all’occhio il dato sulla componente femminile: su 101 mila lavoratori che hanno perso il lavoro, 99.000 sono donne (il 98%).

I numeri sono particolarmente elevati nel settore degli autonomi, dove si registrano ben 79 mila posti in meno rispetto al solo mese di novembre.

In termini percentuali, il calo occupazionale femminile segna un –0,5 a dicembre, mentre aumenta il tasso di inattività (le donne che rinunciano a cercare lavoro), che registra un +0,4 (in controtendenza quello maschile che si attesta su -0,1). I numeri più significativi si registrano nella fascia di età giovanile.

Su base annua, si sono già perse 444 mila unità (482 mila gli inattivi), ed anche in tal caso spicca il numero delle donne (312mila), assai inferiore rispetto agli uomini rimasti senza lavoro (132mila).

Il tasso di disoccupazione complessivo sale al 9 per cento (29,7 tra i giovani), mentre quello di occupazione cala al 58 per cento, perdendo uno 0,9 rispetto al dicembre 2019.

Le ragioni alla base di questo importante differenziale tra i generi vanno ricercate in quelli che sono i principali comparti di occupazione femminile, vale a dire i servizi ed il lavoro domestico, dove si riscontra da sempre un’innegabile incidenza del precariato: trattandosi dei settori maggiormente colpiti dalla crisi (basti pensare al calo del turismo e dei servizi, dovuti alle note restrizioni) è agevolmente comprensibile come l’occupazione femminile ne risulti inevitabilmente colpita.

di Paolo Arigotti