Dario Fabbri, noto esperto di studi geopolitici, ha pubblicato un’agile ed esaustivo testo, Geopolitica umana, nel suo stile ormai noto anche al grande pubblico, dinamico, asciutto ma mai banale.
Il mondo attuale si è fatto complicato e le sue dinamiche di difficile comprensione: ce ne dovremmo essere resi ormai conto, visto la deflagrazione di due conflitti nel giro di un anno, alle porte dello spazio comune europeo. Le categorie, le posizioni ideologiche, che ci hanno guidato nella lettura degli eventi nazionali ed internazionali fino alla caduta del Muro di Berlino nel 1989, sono ormai obsolete o non di largo respiro. Diego Fabbri propone un’articolata chiave di lettura, frutto del suo personale percorso, che si è distaccato dalla geopolitica classica, per fare della interdisciplinarità un elemento imprescindibile. La “geopolitica umana” è l’inedita disciplina elaborata dallo studioso, per analizzare le cose del mondo, dall’agire di Stati ed imperi alle pulsioni delle piccole comunità. Come spiega Fabbri nell’introduzione, il metodo geopolitico è stata incrociato con la profondità della storia, con l’antropologia e con la psicologia collettiva. Nessuna disciplina infatti può fare a meno dell’esplorazione del passato o della valutazione delle caratteristiche culturali di un popolo.
Oggi la geopolitica è di moda, ma come tutte le tendenze può essere un fuoco fatuo, che rischia di perdere l’importante sollecitazione all’indagine, all’approfondimento, che proviene dagli eventi e dalle sfide in corso. La geopolitica, proposta da Fabbri, guarda con attenzione ed attività di scavo alle interazioni tra collettività, collocate nello spazio geografico, calandosi nello sguardo altrui. La geopolitica umana è focalizzata sulle aggregazioni umane, in ogni realizzazione storica; dalle tribù, le poleis, i comuni, agli Stati-nazione e agli imperi.
In un’epoca in cui tutto viene misurato, matematizzato, Fabbri ci avverte che le strategie, le tattiche, i giochi di potere, che animano lo spazio politico nel mondo, sono comprensibili solo se poggiano su un solido fondamento umanistico. La linguistica, la pedagogia si rivelano utili alla conoscenza dell’essere umano e conseguentemente delle sue azioni e come tali per Fabbri sono da inglobare nelle analisi politologiche. Lo studioso vuole scardinare convinzioni sedimentate quanto fallaci, quali l’idea che i leader siano rilevanti più dei popoli, che li esprimono o pensare decisive le forme di governo.
“Le collettività – dice Diego Fabbri – agiscono attraverso gli strumenti demografici, culturali, economici e umani di cui dispongono, nel contesto geografico che abitano, nel tempo che conoscono, con gli interlocutori che affrontano, al cospetto delle costrizioni che vivono. Senza badare alla forma istituzionale che temporaneamente adottano, ai leader di cui si dotano, ai processi di partecipazione interna.”
di Rosaria Russo