La diplomazia in teleconferenza al tempo del Coronavirus

L’arte di trattare, per conto dello stato, gli affari di politica internazionale si è trasferita sul web a causa della pandemia di COVID19. L’importanza di mantenere l’insieme dei procedimenti attraverso i quali si mantengono le normali relazioni con altri soggetti di diritto internazionale, sia per risolvere eventuali contrasti di interessi che per favorire la reciproca collaborazione per il soddisfacimento di comuni bisogni, non ha potuto attendere la fine della pandemia.

Il presidente Trump, presidente del G7 per il 2020, e i suoi colleghi, il premier canadese Justin Trudeau, il presidente francese Emmanuel Macron, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente del consiglio italiano Giuseppe Conte,  il primo ministro giapponese Shinzo Abe, il primo ministro britannico Boris Johnson (con il ministro degli esteri Dominic Raab, che gli è stato vicino, mentre Johnson si stava riprendendo dal coronavirus) oltre al presidente del consiglio europeo Charles Michel e al presidente della commissione europea Ursula von der Leyen, hanno già tenuto una riunione virtuale preparativa del G7 nel mese di aprile. Ma già un mese prima, il 16 marzo, il presidente Trump aveva presieduto la prima riunione del G7 mai organizzata in formato teleconferenza per un vertice straordinario, al fine di discutere della pandemia di coronavirus.

Pochi giorni dopo, la Casa Bianca ha annunciato che il Presidente terrà la riunione del vertice del 46^ G7 mediante videoconferenza, anziché ospitare i leader mondiali al ritiro di Camp David, nel Maryland.

Per consentire a ciascun paese di concentrare tutte le sue risorse sulla risposta alle sfide sanitarie ed economiche di COVID-19 e su indirizzo del presidente Trump, il direttore del consiglio economico nazionale, e “Sherpa“ degli Stati Uniti per il 46^ G7 del 2020, Larry Kudlow ha informato i suoi colleghi “Sherpa” che il Summit dei leader del G7, che gli Stati Uniti avrebbero dovuto ospitare a giugno a Camp David, ora si svolgerà in videoconferenza.

La Casa Bianca ha, inoltre, informato gli altri membri del G7 che, al fine di continuare uno stretto coordinamento, il presidente di turno del G7, Donald Trump, convoca i leader tramite teleconferenza video anche in aprile e maggio.

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha ospitato la riunione dei ministri degli Esteri del G7, prevista a Pittsburgh, in Pennsylvania, dove era originariamente programmata, tramite teleconferenza video, dal 24 al 25 marzo. Anche la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale (FMI) hanno comunicato che i loro incontri di primavera si svolgeranno in formato virtuale.

Dall’inizio della pandemia di coronavirus molti incontri internazionali e diplomatici sono stati spostati online.

Il G20 – Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sudafrica, Corea del Sud, Turchia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Europea – è stato un altro esempio da citare.

L’incontro virtuale del G20, con la partecipazione di più di una dozzina di capi di Stato, è stato percepito meno come un vertice globale e più come una conferenza telefonica di grandi potenze.

È durato circa 90 minuti – lo stesso di una partita di calcio standard – invece dei soliti, più snervanti due giorni.

Twitter e le piattaforme dei social media sono state inondate di foto di leader mondiali seduti davanti a grandi schermi affollati dai loro colleghi in tutto il pianeta, tra cui il re Salman dell’Arabia Saudita, presidente del gruppo G20 del 2020, che ha presieduto tale esperimento.

E, almeno per il G20, la piattaforma prescelta per l’incontro virtuale era Cisco Webex (che potere acquisiscono poi le piattaforme?).

Lo stesso sta accadendo alle Nazioni Unite, con incontri sempre più virtuali della leadership delle Nazioni Unite ed il segretario generale António Guterres.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha impiegato tre settimane per riunirsi sul coronavirus. Se non fosse stato organizzato online – dicono i diplomatici ONU – ciò sarebbe potuto succedere molto, molto prima

Secondo un rapporto dell’inizio di marzo di Stephanie Fillion su PassBlue: “il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha eseguito una simulazione segreta di cybermeeting il 9 marzo per prepararsi a un possibile blocco dell’edificio delle Nazioni Unite e del resto di New York City, nel mezzo dell’epidemia di coronavirus”.

La simulazione in streaming del 9 marzo è stata condotta con i coordinatori politici dei membri del Consiglio e non con i 15 ambasciatori del Consiglio di sicurezza. Ma per molti diplomatici ed esperti governativi gli strumenti virtuali sono effettivamente dei mezzi di lavoro poco pertinenti. Molti di loro non erano stati autorizzati ad usarli in precedenza, poiché i problemi di sicurezza interna spesso bloccavano l’accesso a piattaforme aperte.

Ashok Mirpuri, ambasciatore di Singapore a Washington, ha dichiarato di essere convinto che “operare online non è vera diplomazia”. E non ha affatto tutti i torti, dato che la ragione per cui uno Stato invia diplomatici in capitali straniere è quella di impegnarsi personalmente e di condividere tutta una serie di valutazioni confidenziali, che in videoconferenza non sono possibili: spunti di collaborazione e sfumature di linguaggio non sono disponibili online. È possibile raggiungere un pubblico molto più ampio in video, ma non è possibile arrivare alla fase successiva della diplomazia.

La cosiddetta diplomazia virtuale può funzionare benissimo, data la necessità che i leader del mondo si parlino e si tengano in contatto. Ma qualcosa di profondo è già cambiato in un mondo tipicamente conservatore, dove era quasi impossibile cambiare.

Carlo Marino