TUTELARE GLI ENTI DEL PARASTATO La politica dei tagli lineari colpisce chi lavora per non intaccare i privilegi

Il Super Inps con 34.000 dipendenti provvede alla raccolta dei contributi, all’erogazione di pensioni, di sostegno al reddito, sostegno occupazionale, sostegno assistenziale e garanzia reddito a 23 milioni di assicurati e 17 milioni di pensionati. In Francia e in Germania esiste invece uno svariato numero di enti preposti alla sicurezza sociale, con un numero complessivo di dipendenti di gran lunga superiore a quello dell’Inps e con costi ampiamente maggiori.
Nonostante vi sia stata la querelle sul numero dei pensionati e le conseguenti tracimazioni dell’attuale Ministro del Lavoro, l’Inps nei prossimi giorni provvederà ad avviare una capillare azione in favore del primo contingente di esodati.
L’ampia rete di distribuzione dell’Inps sul territorio, ancora una volta rappresenterà una considerevole agevolazione per i cittadini e per le aziende, unitamente al poderoso sistema informatizzato dell’ente.
Tuttavia, anche l’Inps, così come altri enti fondamentali per il sistema Paese, ad esempio l’Inail, dovrà fare i conti con i tagli del personale che si prevedono nella manovra di revisione della spesa pubblica.
Continua la logica aberrante per cui si continua a parlare di Pubblica Amministrazione, mentre nel nostro Paese esistono migliaia di pubbliche amministrazioni, difficilmente assimilabili l’una all’altra, ognuna con i propri punti di forza o di debolezza, ma ognuna con la sua specificità. Eppure, dopo gli attacchi forsennati del precedente governo, si continua a proseguire sulla stessa lunghezza d’onda.
I tagli decisi a tavolino per far quadrare i conti o solo e semplicemente per dare un brivido di gioia a chi non aspetta altro che veder licenziare i dipendenti pubblici, ampiamente ed ingiustamente additati come fannulloni, non sono iniqui ma semplicemente sbagliati. Non tengono conto di quanti sforzi siano stati fatti dalle amministrazioni per cercare di essere adeguate alle esigenze del Paese e l’Inps, e più in generale il comparto parastato, ne sono un esempio concreto.
C’è stata una ricetta che ha permesso a enti come il più grande istituto previdenziale italiano di passare da un organico di 42.000 unità a 34.000, comprendendo però nella somma anche Inpdap, Enpals, Ipost, Inpdai, Scau, che con il tempo sono stati assorbiti dall’Inps.
La ricetta è stata quella di creare un forte spirito aziendale, di adottare un modello di contrattazione che ha consentito di liberare risorse smontando un sistema di lavoro parcellizzato e passando ad una progressiva e costante crescita del personale in termini di professionalizzazione, di inquadramenti, di fungibilità di mansioni e di assunzione di responsabilità, unitamente a un vasto processo di decentramento per rendere i servizi sempre più fruibili ai cittadini.
Il tutto accompagnato da una massiccia informatizzazione delle procedure resa possibile da un estenuante lavoro di immissione dati volto a rendere obsoleti gli archivi cartacei e di vedere finalmente il trionfo del “fascicolo elettronico”.
Tutto questo è stato fatto da tempo e ha consentito di avere un organico decisamente più snello, ma in affanno rispetto alle funzioni già proprie dell’ente, alle quali se ne sono aggiunte altre come ad esempio le invalidità civili.
Analoghe procedure sono state seguite all’Inail che ora, assorbendo l’Ispesl, rafforza il proprio ruolo anche nel campo della prevenzione degli infortuni sul lavoro, oltre che sul pagamento degli indennizzi e della riabilitazione.
Sono anni che questo processo va avanti con successo, ed è stato reso possibile tramite la contrattazione e la partecipazione dei lavoratori.
Anche per la Croce Rossa Italiana, ente che ha da sempre costituito una sorta di certezza per i cittadini e che è commissariato da tempo immemore, si profila un ben strano destino.
Evidentemente la nomina di commissari a raffica non è mai riuscita a sbloccare una situazione di incertezza strutturale dell’ente, ma a pagare il conto sono stati i lavoratori, quelli che non hanno mai invece avuto incertezze quando sono dovuti salire sull’ambulanza per fare il loro dovere.
Adesso si prospetta la trasformazione dell’ente pubblico – che diventerà un mero custode delle strutture che potrebbero servire in caso di emergenze – e la costituzione di una neonata Cri fondata sulle associazioni di volontariato che dovrebbe gestire sul territorio le funzioni che ora svolge l’ente nella sua attuale composizione di struttura pubblica e volontariato.
Ovviamente, in questo processo chi finisce nel tritacarne è il personale, che è ampiamente sottodimensionato rispetto all’organico previsto, nonostante il finanziamento previsto sia per l’ente pubblico che per l’ipotetica associazione, resti invariato rispetto al pregresso.
Questo intervento che continua ad essere riproposto con tenacia dal governo, appare astruso e privo di logica, dal momento che non abbiamo mai avuto il piacere di assistere alla comminazione di sanzioni per amministratori che non hanno saputo amministrare. Dopotutto questa è la regola per la pubblica amministrazione. Poco conta se il presidente o il commissario o il direttore generale non siano stati in grado di far funzionare la macchina o che si siano prodotti danni: mai una sanzione, mai nulla in cambio di lauti stipendi, e alla fine quando si arriva al buco è il personale ad essere tagliato per ripianare.
Data la situazione, auspichiamo perlomeno che non vengano commessi altri danni e che – considerato che vi sarebbe un’invarianza di costi – si trasferisca tutto il personale della Cri alle strutture sanitarie, dal momento che si tratta comunque di personale specializzato, formato, con ampia esperienza e che è in grado di fornire servizi adeguati in quanto altamente professionalizzato, specialmente in riferimento alle funzioni 118 di urgenza/emergenza, alla Rieducazione Motoria ed ai servizi CIE e CARA.
Questo è quanto avviene per amministrazioni pubbliche che hanno da sempre svolto un ruolo fondamentale. Per quanto riguarda invece i cittadini italiani, ci auguriamo che si possa ancora continuare a confidare nell’arrivo di un’ambulanza, a ricevere la pensione, l’indennità di disoccupazione o l’indennizzo per un infortunio in tempi rapidi.
Tra le tante soluzioni è stata scelta la peggiore, quella dei tagli lineari, con la pretesa di farli passare per revisione della spesa. Posti da tagliare ce ne sarebbero, ma non si possono toccare perché servono al sistema di potere che attanaglia il Paese.
Ci siamo mai chiesti che tipo di lavoro si deve fare per poter ricevere dallo Stato o da istituzioni pubbliche centottantamila o duecentomila euro e oltre all’anno per indennità o gettoni o incarichi vari? Quali assunzioni di responsabilità sono connesse a simili retribuzioni? Quante ve ne sono in giro? Quante ore si passa a lavorare ogni giorno per una retribuzione simile? Queste retribuzioni sono tutte giustificate?
Tre compensi di tale genere, che nella stragrande maggioranza dei casi non sono mai l’unico reddito percepito, equivalgono a ben più della retribuzione lorda di 20 dipendenti. Tuttavia, si continuano a licenziare i precari e i sacrifici vengono chiesti solo ai soliti noti.
In un paese in cui la povertà cresce, anche in maggior misura di quanto rilevano le statistiche, le retribuzioni sono ferme al palo da anni e si è intervenuti pesantemente sul sistema previdenziale riducendo le prestazioni e allungando a dismisura l’età pensionabile; dove si è riusciti con manovre dissennate a innescare un processo recessivo e dove nei fatti si stanno riducendo progressivamente i diritti dei cittadini che pure sono sanciti dalla Costituzione, si continua a sentire un vociare confuso a livello politico.
Ai cittadini, ai pensionati, ai lavoratori sia pubblici che privati, sono stati imposti sacrifici, che forse potevano essere evitati se si fossero perseguite linee diverse di intervento, ma questo Governo, armato della convinzione di essere infallibile e quindi sordo ad ogni altra considerazione, va avanti per la sua strada mentre il Paese annaspa e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Quello che oggi serve è un ragionamento comune sullo sforzo che occorre fare e la fissazione di obiettivi che diano a chi sta facendo sacrifici la certezza di vederli ripagati e non imposti sine die.