IL MALGOVERNO DELLA POLITICA DANNEGGIA IL PUBBLICO IMPIEGO

L’assassinio delle due impiegate della Regione Umbria ha suscitato in noi dolore e commozione. Si è parlato dei problemi di salute psichica dell’assassino, del fatto che nonostante avesse tali disturbi fosse comunque autorizzato a possedere un arma da fuoco, dettaglio sicuramente importante ma che, in fin dei conti, non è rilevante fino in fondo, in quanto è possibile immaginare che chi decide di colpire lo può fare anche con un coltello da cucina o un qualunque altro arnese.
E’ stato osservato che la demonizzazione dei pubblici dipendenti ha ampiamente facilitato l’innescarsi di uno stato di tensione nei loro confronti e ciò con effetti che vanno dalla semplice ingiuria a quanto abbiamo appena visto accadere. Il pubblico impiego sta pagando caro il prezzo della demagogia, spesso artatamente messa in campo dalla stessa politica, che lo addita come fonte dei mali del Paese.
Una demagogia che è volta a scaricare su chi è un semplice esecutore, su chi applica le norme, le regole e le direttive, spesso anche contraddittorie e mirate a limitare i diritti dei cittadini, oppure concepite con una maniacale e certosina cura del particolare, che ne rende impossibile la comprensione o l’attuazione.
Esistono sicuramente delle “deviazioni”, come in qualsiasi ambiente lavorativo, con soggetti che si dimostrano incompetenti, o non così attivi come il ruolo invece richiederebbe, talvolta spocchiosi o indolenti ma, di sicuro, non sono categorie adottabili per la generalità del pubblico impiego. Sul sito della Funzione Pubblica c’è l’esito delle famoseemoticon concepite per misurare il gradimento dei servizi da parte degli utenti: la quasi totalità dei cittadini che hanno voluto esprimere il loro giudizio lo ha fatto in modo positivo.
Del resto, se vi fosse quel livello di inefficienza che si continua a contestare agli uffici pubblici, sarebbe impossibile ottenere una qualsiasi prestazione. Invece non è così.
Il problema è rappresentato dalle norme che non soddisfano le esigenze dei cittadini.
Essere convinti di aver diritto alla pensione di invalidità e poi scoprire che la percentuale necessaria per ottenerla è stata elevata con recenti provvedimenti, non è un fenomeno riconducibile al funzionario pubblico che respinge la richiesta. Così come la scoperta che per ottenere una prestazione e/o un’esenzione, si deve avere un reddito inferiore a quello ipotizzato. Ancora, ad esempio, scoprire che sono stati modificati i requisiti per ottenere una pensione di anzianità o di vecchiaia, non riempie certo di gioia chi si apprestava ad andare in quiescenza, ma ciò, ribadiamo, non è colpa del pubblico dipendente. Così come le lunghe attese per le prestazioni sanitarie sono spesso dovute alla cattiva organizzazione che pregiudica la disponibilità dei mezzi tecnologici o del personale addetto.
Però l’attenzione è stata posta sui dipendenti, dipinti come fannulloni e scansa fatiche.
Eppure migliaia e migliaia di prestazioni e di provvedimenti vengono ogni giorno adottati.
Certamente non va tutto bene: bisogna sempre migliorare, accrescere i servizi per i cittadini ed efficientare, se si vuole usare un recente pasticciato neologismo del burocratese.
Così si susseguono le “riforme” della Pubblica Amministrazione, tutte puntualmente rivolte a risparmiare. Come ? con tagli per lo più lineari, senza alcun criterio.
I contratti di lavoro del Pubblico Impiego sono bloccati da anni; si prospetta un ulteriore blocco con le retribuzioni al palo.
E poi c’è una riduzione del personale di discutibile impostazione.
Resta il fatto che il Pubblico Impiego è ancora esposto al pubblico ludibrio, per le inefficienze la cui responsabilità, invece, è da ricercare in chi governa le amministrazioni, a tutti i livelli. Altre responsabilità vanno ricercate nelle scelte della Politica, sempre più indirizzate verso la contrazione dei servizi e delle prestazioni per i cittadini, come dimostrano i provvedimenti in materia pensionistica o fiscale.
Contro questi obiettivi dovrebbe indirizzarsi il malessere dei cittadini
La situazione, quindi, è oramai intollerabile. Abbiamo detto che “il pubblico impiego ha già dato”.
Pare che non sia finita e che ulteriori sacrifici si chiederanno ai lavoratori pubblici.
Il mondo sindacale nel pubblico impiego è molto articolato e, riflettendo le cattive abitudini della politica, condizionato dalla perenne ricerca di consenso, per strappare qualche decimale di punto in più alle elezioni RSU. Forse, invece, è giunto il momento di mettersi tutti intorno a un tavolo per cercare di avviare un’iniziativa realmente unitaria, che possa mobilitare tutti i dipendenti pubblici. Forse è necessario fermare per un giorno la Pubblica Amministrazione, in tutte le sue articolazioni, con uno sciopero generale proclamato unitariamente da tutte le sigle. È necessario far comprendere alla controparte che il punto limite è stato raggiunto e che occorre arrestare lo smantellamento della pubblica amministrazione, come avviene anche con l’umiliazione di milioni di lavoratori pubblici.
Il quadro politico determinato dalle recenti elezioni non desta serenità.
Non sappiamo quando e se ci sarà un Governo. Non sappiamo quale sarà.
Forse questa incertezza può e deve indurre tutti ad affrontare la questione per tempo, senza pregiudizi politico/partitici, affinché sia chiaro che il pubblico impiego e la pubblica amministrazione sono un argomento che non può e non deve essere aggirato o ignorato.
Chiediamo con spirito costruttivo a tutte le organizzazioni sindacali di avviare un confronto per giungere ad un’iniziativa unitaria diretta al rilancio della Pubblica Amministrazione ed alla richiesta del rinnovo dei Contratti di lavoro.
I pubblici dipendenti attendono risposte certe.