Il governo discrimina il personale comandato delle amministrazioni pubbliche

L’ art. 56 del D.P.R. n. 3 del 1957 (comando presso altra amministrazione), com’è noto, stabilisce che l’impiegato di ruolo può prestare servizio presso altra amministrazione per un “tempo determinato e in via eccezionale, per riconosciute esigenze di servizio o quando sia richiesta una speciale competenza”. La norma, replicata dai CCNL dei vari comparti di contrattazione collettiva, a seguito della cosiddetta “privatizzazione” del rapporto di lavoro pubblico – attuata a partire dal 1993 (basti pensare, solo per citare alcuni contratti, all’art. 4 del Ccnl integrativo del comparto Ministeri 16 febbraio 1999, richiamato dal Ccnl 12 giugno 2003 e, per la PCM, alle previsioni contenute nell’art. 57 del Ccnl 17 maggio 2004), evidenzia la straordinarietà dell’istituto, diretto a soddisfare soltanto esigenze delle amministrazioni limitate nel tempo. Qualora, infatti, l’amministrazione avesse bisogno a titolo stabile di “avvalersi delle peculiari professionalità e competenze”, dovrebbe acquisire le stesse tramite l’inquadramento in ruolo delle figure professionali di cui necessita, per corrispondere alle proprie specifiche esigenze istituzionali.

Si può, quindi, affermare che la posizione di temporaneità in cui si trova il personale de quo costituisca un mero eufemismo, atteso che “la temporaneità” presenta una scansione temporale di decenni, mentre l’anomala situazione di sostanziale precarietà lavorativa, nonché la cristallizzazione delle posizioni normative e retributive in cui versa il personale in assegnazione temporanea, è frutto di una persistente trascuratezza organizzativa da parte delle amministrazioni statali e della PCM.

In tale quadro è stata emanata la legge n. 26 del 2010 (vedi l’art. 14), con la quale ai lavoratori che prestano servizio, in via temporanea, presso il Dipartimento della Protezione Civile, viene consentita l’immissione nei ruoli organici della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Si tratta di una legge che per quanto ci riguarda desta ben più di una perplessità, sostanzialmente per la sua parzialità.

Appare inutile ingegnarsi in battaglie mediatiche contro i c.d. “fannulloni” lanciate, con enfasi, dal Ministro Brunetta quando poi vengono emanate norme che favoriscono una sola parte degli impiegati, omettendo di estenderle anche a coloro che si trovano nella stessa “aleatoria” situazione. Ma allora, il buon andamento, l’imparzialità dell’Amministrazione e la conclamata razionalizzazione delle risorse umane, sono solo enunciazione di principio e/o dichiarazioni di intenti?

Eppure questo è un problema sociale che si trascina da anni ed investe circa 6500 dipendenti pubblici che a tempo indeterminato lavorano presso i Ministeri e la Presidenza. Peraltro, può essere evidenziato come sia proprio la PCM l’Amministrazione che più copiosamente si avvale di personale in posizione di comando. Qui, i dipendenti comandati ammontano a circa 1400 unità, mentre il DPCM del 2003 stabiliva una consistenza di sole 530 unità. In sette anni il contingente di tale personale è triplicato! Risultato: le due aliquote di personale, di ruolo e non di ruolo, hanno pressoché la stessa identità numerica.

In tale quadro, in sede di emanazione del provvedimento legislativo (il D.L. n. 195 convertito con la legge n. 26 del 2010), il Parlamento si è trovato a dover esaminare ed approvare due articoli aventi lo stesso oggetto pur se distinti nell’individuare i beneficiari. L’uno, governativo, finalizzato a stabilizzare solo personale presidenziale in servizio presso la Protezione Civile, l’altro parlamentare (proponenti gli onorevoli Fleres ed Alicata) che estendeva tale “sacrosanto” beneficio a tutto il personale comandato presso i Ministeri e le varie strutture Presidenziali.

Il Ministero dell’economia e delle finanze, ha ritenuto di esprimere un parere ostativo all’emendamento parlamentare presentato dai citati Deputati. Nel caso della norma governativa approvata dal Parlamento invece lo stesso Ministero aveva assunto una posizione quantomeno “pilatesca”, omettendo di evidenziare come quella stessa norma avrebbe comportato e comporterà un aggravio di spesa alle casse dello Stato.

Nei confronti del secondo emendamento il MEF ha, invece, al contrario rilevato che la disposizione normativa di stabilizzazione potrebbe ingenerare “oneri non quantificati né coperti” ed ha richiamato una presunta asistematicità della previsione normativa, ritenuta lesiva della corretta funzionalità delle amministrazioni di provenienza del personale, private ex lege del personale e dei posti in organico, in quanto con siffatta previsione si tenderebbe a stabilizzare posizioni di comando o fuori ruolo che per loro natura non possono che essere “temporanee”.

Ovviamente il costo aggiuntivo della stabilizzazione del personale in posizione di comando non esiste, trattandosi della “stabilizzazione” di un costo già sopportato dall’amministrazione che fruisce dello stesso personale in via transitoria (infatti lo stipendio fisso viene corrisposto solo formalmente dall’amministrazione di provenienza a cui viene rimborsato da quella in cui il dipendente presta la propria funzione). Inoltre, l’inquadramento viene effettuato nell’ambito dell’area professionale e livello corrispondente a quella posseduta nell’amministrazione di provenienza senza generare costi aggiuntivi e senza titolo.

Al contrario si è chiarito come siano opportuni interventi normativi tesi a valorizzare il personale comandato o fuori ruolo attraverso i processi di mobilità che comporta la stabilizzazione. Questi sottendono politiche organiche di gestione del personale atte a introdurre strumenti di reclutamento rispondenti ad esigenze organizzative, di contenimento della spesa pubblica e di valorizzazione del capitale umano, poiché l’utilizzazione protratta nel tempo giustifica un fabbisogno professionale duraturo dell’amministrazione di destinazione, con la copertura del relativo posto in organico.

A questa logica risponde del resto la ratio normativa della disposizione del d.l. 31 gennaio 2005, n. 7 (convertito in legge dalla legge n. 43 del 2005) che all’art. 1-quater dispone che: “Al fine di agevolare la mobilità dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, per consentire un più efficace e razionale utilizzo delle risorse umane esistenti, … le amministrazioni, prima di procedere all’espletamento di procedure concorsuali, …. devono attivare le procedure di mobilità … provvedendo, in via prioritaria, all’immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli dell’amministrazione in cui prestano servizio. Il trasferimento è disposto, nei limiti dei posti vacanti, con l’inquadramento nell’area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le amministrazioni di provenienza…”.