I dipendenti pubblici nell’occhio del ciclone

Oggi la situazione politica in Italia si presenta come non mai confusa, e a nulla valgono le assillanti assicurazioni da parte di chi governa, ampiamente divulgate dai mezzi di comunicazione, con le quali si tenta di smorzare il giustificato allarmismo diffuso nella popolazione per l’eccessivo rincaro dei prezzi dei generi alimentari di maggior consumo. Si sostiene, infatti, che tutto va bene, che è soltanto una crisi passeggera da attribuire all’andamento attuale dei mercati europei e che, comunque, vi sono i presupposti per una rapida ripresa dell’economia.

Questi argomenti ci hanno tormentato per tutta questa calda afosa estate, intimorendo i villeggianti in numero sempre più ristretto che, esaurite le scorte dei loro pochi risparmi, dovranno affrontare da subito un futuro fatto di sacrifici e rinunce.

Questo il quadro generale del malessere in cui al momento ci troviamo, che ci intristisce nonostante le ultime trovate del comico Grillo sulle evidenti contraddizioni della politica italiana.

Noi però vorremmo esaminare soltanto un lato della questione, senza soffermarci su temi che interessano soltanto particolari opinionisti, vorremmo riferirci ai lavoratori pubblici che in questi giorni sono oggetto di una martellante campagna denigratoria, accusati di assenteismo, improduttività, rei di percepire stipendi superiori rispetto alle loro prestazioni. E’ stata così rappresentata una élite di privilegiati, che grava sul bilancio dello Stato e costituisce la pietra dello scandalo del deficit pubblico. Ecco trovati i responsabili di questo disastro, che ci impedisce di allinearci al resto d’Europa, sia in termini di progresso che di stabilità economica, ecco chi sono i veri colpevoli di questo fallimento. Ma siamo seri, se si vuole sanare il disavanzo statale, allora bisogna individuare le reali cause che lo hanno determinato, con serietà ed onestà, avere il coraggio di eliminare i compromessi, la superficialità a risolvere i problemi che attualmente ci affliggono. Oggi purtroppo si vive alla giornata, finché la barca va, e non importa che a farne le spese siano le categorie più disagiate e che il numero dei poveri sia in costante aumento.

Chi sono realmente i dipendenti pubblici in Italia nella attuale situazione? E come vivono? Dobbiamo constatare purtroppo che essi sono all’ultimo posto nella scala dei valori su base europea, sia per il numero inadeguato rispetto alle esigenze e sia per le retribuzioni che risultano tra le più basse. Eppure c’è nel Governo chi propone di abbassare le retribuzioni dei dipendenti pubblici e di decimare tale personale, mettendone in forzato riposo i due terzi, nell’errato convincimento di recuperare in tal modo parte del disavanzo. Soluzioni cervellotiche che non hanno nessuna attinenza con la realtà ed, anzi, discreditano la nostra classe dirigente per la sua manifesta insipienza a sciogliere il nodo della matassa con tempestive ed appropriate misure che l’attuale emergenza richiede.

Se vogliamo, però, analizzare questo fenomeno, dobbiamo risalire nel tempo ai provvedimenti adottati dai Governi di allora ( tralasciamo per amor di patria il decreto legislativo n.29 e la cosiddetta riforma Bassanini ), tra cui il più determinante, causa di effetti negativi, l’accordo sul costo del lavoro del luglio ’93, che si proponeva di limitare gli eccessi di una galoppante inflazione che alzava a ritmi serrati il costo della vita e produceva danni così devastanti, che il meccanismo della scala mobile non era più in grado di fronteggiare.

Artefice di questo accordo è stata anche la Confindustria, che specie nel settore privato si batteva strenuamente per il contenimento degli aumenti salariali, tanto da indurre il Governo a stabilire nuove regole per quanto riguarda i rinnovi contrattuali. In base a tale accordo si stabilisce nella finanziaria di ogni anno un tasso fittizio, cui fare riferimento, definito inflazione programmata, la quale risulta sempre inferiore rispetto a quella reale. Dopo l’accordo, nei rinnovi contrattuali è stato utilizzato tale tasso, come moltiplicatore delle medie stipendiali, rapportando i relativi importi alla scala parametrica di ciascuna categoria di lavoratori. Tale artificio ha causato, man mano che si è praticato, oltre ad un divario sempre più accentuato tra inflazione programmata e quella reale, con grave penalizzazione specie per i lavoratori a basso reddito costretti quasi all’elemosina, anche una disparità di trattamento nei vari comparti del pubblico impiego a causa delle differenti medie stipendiali, nonostante che le figure professionali fossero le stesse e svolgessero le medesime mansioni.

Per eliminare queste evidenti contraddizioni di un sistema quanto mai anacronistico, occorre provvedere urgentemente a riformare il sistema fin qui seguito, introducendo regole che salvaguardino il potere di acquisto dei lavoratori, assicurando alle loro famiglie una vita dignitosa. In tal modo sarà facile ottenere quei risultati auspicati da tutti di una sana ed efficiente amministrazione pubblica. Questi i rimedi da contrapporre all’attuale crisi, e non i licenziamenti di massa e il congelamento degli stipendi. Per ricavare le risorse economiche necessarie bisogna ricorrere ad altri metodi, sopprimendo i veri privilegi ed eliminando tutto il superfluo accumulato da strutture decrepite e costose.