DI TUTTA L’ERBA UN FASCIO

La Bankitalia in questi giorni ha mosso le acque in tema di lavoro dipendente, perché da una sua indagine ( non si sa quanto attendibile ) è stato rilevato che le retribuzioni degli impiegati pubblici sono di molto superiori a quelle dei lavoratori privati. I dati comunicati, a sostegno di quanto asserito, sono i seguenti: per il settore pubblico la crescita tra il 2002 e il 2010 è stata del 22,47% (al netto dell’inflazione da 23.813 a 29.165 euro), mentre per il settore privato tale crescita è stata nell’industria del 10,5 (da 21.047 a 23.275 euro) e nel commercio del 6,8% (appena 20.733 euro per il 2010). Andiamo però a constatare quanto veritiera sia tale analisi, anche se sommessamente viene accennato che la situazione nel pubblico impiego è sensibilmente peggiorata a causa del congelamento delle retribuzioni fino al 2013, con il solo aumento dell’indennità di vacanza contrattuale di circa 10 euro per il 2010. Infatti nel calcolo delle retribuzioni degli impiegati pubblici sono stati incluse categorie che niente hanno da spartire con la classe media degli operatori, e cioè le forze armate in missione all’estero, i prefetti, gli ambasciatori, i professori universitari, i primari, i dirigenti ecc., figure professionali che percepiscono stipendi decuplicati rispetto a quelli dei comuni travet. Ed allora si faccia chiarezza, prima di apprestarsi a fare di tutta l’erba un fascio, seguendo quella campagna diffamatoria che intende rappresentare, sulla falsariga di Roma ladrona, i pubblici dipendenti quali parassiti e improduttivi, elementi non omogenei ad una società efficiente e laboriosa. Questa è una vecchia convinzione che purtroppo permane nel nostro Paese, ancorata ad inveterati pregiudizi nei riguardi dell’amministrazione pubblica, ritenuta a torto o a ragione estremamente vessatoria nei confronti della povera gente.
Inoltre, sono state messe a raffronto le diverse prestazioni lavorative dei due settori: 1438 ore l’anno per quello pubblico sulla base di 6 ore giornaliere, 1704 l’anno per quello privato sulla base di 8 ore giornaliere. Ciò comporterebbe, quindi, una differenza di 266 ore, equivalenti a circa 33 giorni annuali. Non c’è dubbio che tale esemplificazione stimola maggiormente l’avversione contro i pubblici dipendenti che, come si è voluto evidenziare in base ai dati forniti, pur lavorando di meno rispetto ai lavoratori privati guadagnano di più. A noi sembra che questo confronto sia alquanto malizioso, perché si sono volute ignorare la professionalità e responsabilità richieste per adempimenti che necessitano di una particolare specializzazione. Quindi, non serve quantificare la presenza nell’ambiente di lavoro, ma occorre riferirsi soltanto ai risultati e al merito. Tra l’altro ci sembra che nella fase evolutiva dei paesi industrializzati si debbano creare i presupposti per diminuire il numero delle ore del lavoro dipendente e contribuire, attraverso una idonea preparazione culturale e tecnologica, a dare un valido sostegno per una condivisa impegnata partecipazione ai cicli produttivi di tutti gli addetti, che svolgono con serietà ed attaccamento ai loro doveri i compiti assegnati dopo un faticoso percorso di studi e prove selettive.