Ancora…?

La Francia si appresta a discutere una riforma delle pensioni, e stando alle notizie della stampa, con gravi preoccupazioni da parte del Presidente della Repubblica molto attento alla propria popolarità.
Nel nostro belpaese, invece, pare che questi affanni i nostri politici nostrani non li avvertano proprio, oppure godono sempre di sondaggi che li vedono brillare per il consenso che ricevono,anche se, come è avvenuto per il Ministro Brunetta, che dopo aver conquistato pagine e pagine di giornali, comparsate televisive, al momento di raccogliere il consenso, non ha avuto il successo sperato, restando sotto il pelo dell’acqua della laguna veneta.
Vuoi vedere che invece di politici o politicanti, abbiamo una classe dirigente fatta da veri statisti e non ce ne siamo mai accorti? Avanzano impavidi con le loro cesoie, con i loro tagli, attenti alla salvaguardia del paese e invece ricevono solo contestazioni immeritate e irriconoscenza della popolazione?
Stiamo vivendo un momento di crisi economica, che pare abbia evidenziato la assoluta fragilità del sistema, tanto fragile da non riuscire a reggere e governare le spregiudicate manovre speculative della finanza. E il prezzo della assenza del potere politico, imbelle o asservito al potere finanziario, lo pagano e lo pagheranno i cittadini, in modo particolare i lavoratori dipendenti e i pensionati.
Abbiamo sentito in questi giorni, in casa confindustriale, parlare ancora una volta di riforma delle pensioni, di una spesa eccessiva per il sistema previdenziale, di una richiesta di intervento per ridurre tale budget.
Viene spontaneo, con una certa perplessità, chiedersi: “ancora? Ci risiamo? Ma dove si vuole arrivare?”
Insomma! La maggior parte delle pensioni è intorno ai cinquecento euro al mese, e quelle che vanno oltre tale importo sono ben lontane dal garantire ai percettori un tenore di vita analogo a quello che avevano quando erano in attività. Tra qualche anno cominceranno ad andare in pensione i primi lavoratori con il sistema misto retributivo/contributivo e la loro condizione economica sarà ancora più disastrosa, per non parlare di chi è totalmente con il sistema contributivo.
Quindi? Che altro si vuole fare? Si vuole far scendere le pensioni al di sotto degli attuali livelli? Una nazione di indigenti anziani? Questo è l’obiettivo che si persegue?

Si bloccano gli stipendi al pubblico impiego (si dice per 3 anni, ma l’esperienza insegna che il periodo sarà ben più lungo) e i lavoratori privati hanno poco da stare allegri, perché è passato un principio che avrà inevitabili conseguenze anche per loro. Quali saranno le conseguenze della sterilizzazione dei salari si vedranno a breve. Finito il periodo d’oro per commercianti e artigiani, che nel passaggio dalla lira all’euro hanno drenato risorse economiche spaventose, adesso dovranno fare anche loro i conti con il ridotto potere di acquisto dei lavoratori e dei pensionati.
Ma allora a che cosa sta puntando da anni il potere finanziario con l’assenso operativo della politica?
Gli “statisti”, che occupano le poltrone dalle quali decidono a colpi di decreti e di fiducia parlamentare, sono in grado di disegnare un percorso per dimostrare ai cittadini che i sacrifici loro richiesti sono connessi al perseguimento degli obiettivi di crescita del paese e di migliorare le condizioni di vita dei cittadini, siano essi lavoratori o pensionati?
Insomma, oltre alle parole usate per giustificare i tagli causati sempre da eventi “imprevedibili”, sono in grado di instillare almeno una goccia di fiducia?
Che si venga a parlare di “patto sociale” come se in una comunità nazionale vi fossero contrapposizioni tali da necessitare un “patto” che invece dovrebbe essere implicito nella missione della classe dirigente eletta a governare, può onestamente far sorridere, ma ormai è diventata una usanza difficile da smontare, cosi come è successo per il patto del 93, durato 17 anni e che sicuramente ha avuto luci e ombre, ma che sicuramente ha certificato che gli unici a osservare il patto, loro malgrado forse, sono stati i lavoratori e i pensionati.
In fin dei conti cosa si può chiedere ai governi? Solo e semplicemente uscire da questa spirale che anno dopo anno vede ripetere riti e lamenti, ma che alla fine continua a portare colpi sempre ai soliti noti.
Si chiede troppo? Si chiede troppo a una classe dirigente che ha il potere di mandare cittadini in guerra, di partecipare a guerre (anche con motivazioni condivisibili se si vuole e per chi vuole) e non ha il potere e la capacità di governare qualcosa che sia un poco oltre l’emergenza?